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Dino Amenduni, tra divertimento e sport business, il marketing sportivo come presidio di frontiera. Leggi una piccola anteprima del suo intervento allo Sport Digital Marketing Festival

23
Mag 2018

Sport Digital Markleting Festival: Social Media Marketing, Sport, Riccione: cosa c’è da aspettarsi? Sarà una tripletta?

Dino: Mi aspetto una grande azione di squadra! Tutte e tre questi concetti mi fanno venire in mente una sola parola comune: divertimento.

SDMF: Dando uno sguardo al futuro con gli occhi di un esperto di social media marketing e comunicazione digitale, come pensi si evolverà lo Sport Business? Sarà a tutti gli effetti 4.0? Ci saranno cambiamenti veloci e coinvolgenti come quelli che abbiamo visto negli ultimi anni?

Dino: Lo sport è spesso mercato di avanguardia dal punto di vista della comunicazione e del branding. Lo percepisco anche nel mio specifico settore d’intervento (la comunicazione politica). Negli ultimi anni abbiamo visto vere e proprie campagne “politiche” legate allo sport (penso a quella dell’UEFA contro il razzismo o alle azioni della Nike per la difesa dei diritti, in qualche modo ‘contro’ Trump). Nello sport spesso ci sono gli strumenti, le risorse (e il consenso popolare) per azzardare, per ragionare fuori dagli schemi. Per me il marketing sportivo è dunque spesso un presidio di frontiera, una sorta di laboratorio dove poter verificare l’efficacia di nuove idee. Mi aspetto che questa tendenza resti solida nel tempo, e che sfrutti ancora di più il protagonismo dei grandi dello sport, il coinvolgimento delle comunità dei tifosi e la presenza di tecnologie che permettono un’interazione sempre più reale tra gli sportivi e il loro pubblico.

SDMF: Una campagna di marketing per lo Sport a cui sei particolarmente legato? 

Dino: Sono molto legato alla campagna “Più che compagni” che negli scorsi anni ha accompagnato le partite interne della Nazionale Italiana di Rugby al Sei Nazioni. Andare allo stadio con gli amici di sempre, ad assistere a uno sport che basa molto del suo successo sul fair play tra giocatori (e di riflesso tra tifosi), rendeva quel messaggio perfettamente coincidente con lo stato d’animo con cui andavo allo stadio: per divertirmi, per sentirmi parte di una comunità di appassionati e non con l’ossessione della vittoria (anche perché, in tal caso, avrei penato molto dato che l’Italrugby vince troppo poco spesso)


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