Intervista a Moris Gasparri, allo Sport Digital Marketing Festival, il suo specialissimo punto di vista di Studioso e Ricercatore Sportivo. Tra Italia e U.S.A, un assaggio di Sports Studies.
- Vito Cellamaro
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Sport Digital Marketing Festival: Qualche parola per descrivere il tuo lavoro.
Moris: Io ho avuto da sempre un grande sogno professionale, combinare in forme creative ed originali sport e cultura, perché la mia vita è sempre stata divisa tra due passioni divoranti, quella per i libri, per lo studio dei classici del pensiero (nel mio caso soprattutto quello storico e politico) e della letteratura – e quella per lo sport inteso nel suo significato plurale, dato che li seguo più o meno tutti con grande attenzione, al maschile ed al femminile, a tutti i livelli, in alcuni casi con grande intensità di tifo. A parole questa congiunzione è facile, anzi è una retorica che oggi si porta molto, nella realtà meno, perché sono due mondi che in Italia non si sono mai realmente incontrati, e anche all’estero i cosiddetti “sports studies” (le cui pubblicazioni frequento da tempo, anche grazie ad un database di studiosi internazionali costruito nel tempo principalmente attraverso Twitter) hanno si conquistato una dignità accademica ed editoriale, ma molte volte non hanno un legame interno con la realtà sportiva e con l’operare di chi fa sport. In questo senso mi ritengo privilegiato dall’aver potuto incontrare nel mio percorso due figure importanti ed autorevoli dello sport italiano come Michele Uva e Mauro Berruto, che mi hanno sempre fortemente sostenuto in questa mia strada, nonostante per i primi anni abbia significato per me essere disoccupato. Dal 2014 ho la fortuna di poter studiare numeri, attori, tendenze dello sport italiano e mondiale nelle attività di ricerca e monitoraggio condotte dal Centro Studi del Coni, con il quale collaboro come “free-lancer”. In parallelo in questi ho scritto un ebook sulla figura di Marco Belinelli e sui meccanismi culturali e manageriali dell’NBA, una lunga analisi del valore geopolitico della Premier League che ha aperto il numero di Limes dedicato al calcio uscito nel giugno del 2016, ed ora un libro sul calcio femminile in collaborazione con Michele Uva, che racchiude sei anni di studi e ricerche condotte a livello internazionale.
Mi interessa studiare le grandi macchine organizzative dello sport, gli impatti economici, politici e sociali dello stesso, la diversità storica delle varie culture sportive nazionali, il valore filosofico e “spirituale” dei grandi atleti. Mi piace infine cercare di “anticipare” tendenze future, oggi magari deboli o non egemoni.
SDMF: Che cosa c’è da aspettarsi dallo Sport 4.0? Come vedi il futuro in questo senso dal tuo particolare punto di vista di ricercatore sportivo? Che cosa cambierà?
Moris: Io non sono un esperto di comunicazione e digital marketing, quindi provo a spostare la visuale. La questione per me centrale è capire se e come l’Italia potrà giocare un ruolo al centro di questa industria globale, considerando i vari ritardi del nostro sistema-Paese. Sta accadendo allo sport italiano (soprattutto calcio e basket) quello che abbiamo già vissuto con l’industria del cinema, di cui siamo stati a lungo protagonisti a livello mondiale: conservare sì qualche eccellenza, ma diventare sempre più spettatori passivi di spettacoli sportivi prodotti, gestiti, distribuiti e “comunicati” da altri. Il digital marketing applicato allo sport per me rappresenta soprattutto questo: apertura ai mercati globali, allargamento delle comunità di tifo, mescolamento delle culture sportive. Possiamo utilizzare i social nelle forme più creative e sofisticate, ma se alla base non abbiamo nulla di interessante da vendere inutile girarci intorno. È un tema complesso, che lega investimenti, formazione del capitale umano, management, infrastrutture, politica sportiva e politica tout court, formazione dei talenti sportivi.
SDMF: Ci racconti un esempio particolare – geniale, vincente o incredibile – di campagna social che ti ha colpito? Insomma, una piccola storia di digital marketing per lo Sport che valga la pena raccontare?
Moris: Io sono molto attratto dalle campagne di comunicazione legate alla responsabilità sociale. È un aspetto che è parte integrante della cultura sportiva delle grandi leghe globali – Nba e Premier League in testa. Nel caso dell’NBA cito il loro programma contro l’obesità infantile e per la promozione di stili di vita attivi, Nba Fit. Sui social vengono continuamente raccontate e documentate le visite nelle scuole dei grandi campioni, c’è tutto un lavoro video per cercare di trasferire trucchi e segreti della preparazione atletica dei primi a favore delle generazioni più giovani. Venendo all’Europa, una campagna che mi ha colpito molto è quella promossa in Spagna dalla Liga, che da due stagioni gestisce anche la Liga Femenina di calcio femminile, chiamata #hablamosdelomismo, in cui si valorizza la nuova frontiera che io chiamo del “calcio universale”, senza più barriere di genere. Sull’Italia, anche se non sono delle campagne vere e proprie, mi piace il modo in cui club professionistici con identità territoriali molto forti come l’Atalanta e la Spal nel calcio, o l’Aquila Trento nel basket, utilizzino i social per raccontare le tantissime attività di responsabilità sociale intraprese a cadenza costante, dalle visite negli ospedali pediatrici a quelle nelle case di riposo, dalle attività nelle scuole alle iniziative con i tifosi.
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